Società

L’Italia ai Tempi del Colera

– L’Italia è fatta, ora dobbiamo fare gli affari nostri – disse Gaspare nel superbo “I Viceré” di De Roberto del 1894. Tristemente, a distanza di più di un secolo, nulla sembra essere cambiato. In un paese in cui il 40% dei votanti sostiene partiti che hanno fatto dell’amor di patria un perno della loro retorica, mai nessuno si sarebbe aspettato di dover assistere alle surreali scene di ieri sera alla stazione di Milano. Superfluo ormai spiegare i motivi di tale fuga e il pericolo che questa rappresenta, ma è vitale prendere coscienza di quanto sia perfetta rappresentazione della miseria umana in cui l’Italia si è ridotta. O forse da cui non è mai uscita, viste la parole di De Roberto.

In un paese in cui esponenti politici di spicco fanno propaganda speculando sull’emergenza pare che ormai rispetto e responsabilità siano solo atteggiamenti da saputelli boriosi, vittime sacrificali deposte all’altare della misera ambizione personale. L’amor di patria diviene strumento politico solo ai fini di combattere un presunto nemico diverso da noi, al netto della sua effettiva esistenza, mentre per noi la patria rimane solo un concetto vetusto estrapolato dalla sceneggiatura di qualche film di guerra americano.

Le fughe improvvisate di ieri sera, contrarie a qualsiasi indicazione degli enti sovrani del paese che diciamo di amare, non è altro che un triste rimando all’iconica scena dei topi che fuggono dalla nave che affonda. Badate bene che non si tratta di una semplice fuga dal coronavirus, bensì di una fuga dal proprio dovere morale di cittadino. È un estremo atto di egoismo da parte di chi è disposto a mettere in ginocchio l’intera Italia piuttosto che accettare di buon grado un temporaneo confino precauzionale. È l’apoteosi dell’individualismo e della pochezza morale di chi italiano si sente solo quando c’è da sentirsi superiori a chi italiano non lo è. È un soldato che rompendo le righe non solo abbandona i suoi compagni alla mercé del nemico, ma anzi condanna alla rovina il paese per cui combatte. È il lascito di secoli di guerre fratricide, non ancora sepolto dai 159 anni di unità d’Italia. È la mentalità di Gaspare de “I Viceré. È l’umiliante prova che oggi come allora avevano ragione quelli che – citando il nostro inno – ci umiliavano perché “non siam popolo”. È l’essere fratelli quando c’è da succhiare dal seno di mamma Italia, ma nemmeno parenti alla lontana quando c’è da difenderla.

Un giorno quest’epidemia finirà e tutto tornerà come prima, ma ancora una volta avremo perso l’opportunità di dimostrare a noi stessi che non siamo un popolo di vigliacchi e traditori. Ancora una volta siamo riusciti a dimostrare che governare gli italiani non è difficile, ma semplicemente inutile. Nonostante i moltissimi gesti nobili compiuti da tanti in questi tempi difficili, ancora una volta abbiamo dimostrato che ci sarà sempre chi è pronto ad abbandonare la nave non appena comincia la burrasca. Ancora una volta abbiamo dimostrato che per noi il senso civico è un concetto esotico. Ancora una volta abbiamo rinunciato a dimostrare di saper essere fratelli italiani in tutto e per tutto, nonostante tutto.

Ma in fondo poco importa perché anche questa volta ci laveremo delle nostre colpe additando l’immigrato o l’UE di turno, senza mai trovare il coraggio di guardarci allo specchio. -Uniti, per Dio, chi vincer ci può?- scriveva Mameli. Pare abbiamo trovato una risposta: noi. Anche questa volta, il nostro più grande nemico siamo stati noi stessi. E anche questa volta, siamo riusciti a sconfiggerci.

Attualità, Politica, Società

Zuckerberg vs Ocasio-Cortez: l’arroganza della politica

A quanto pare sono l’unico ad essere rimasto esterrefatto dall’imbarazzante comportamento di Alexandra Ocasio Cortez nell’udienza a Mark Zuckerberg, ma la verità è che non me ne vergogno. Confesso di avere, in passato, nutrito simpatie per la giovane rappresentate dell’ala più a sinistra dei democratici statunitensi, ma credo che in questo frangente abbia mostrato tutta la sua inesperienza e inadeguatezza. Sembrava, almeno ai miei occhi, che la sua volontà fosse di trasformare una seria discussione su un progetto come Libra – la criptovaluta di Facebook – in una piccola celebrazione della sua bravura come inquisitrice contro quei miliardari che affamano il suo elettorato. Un fantastico video acchiappa-like su Facebook (ironico, vero?) che sicuramente le porterà grande ammirazione popolare, ma che ha reso quanto mai evidente la sua volontà di fare in modo che tutti guardassero il dito mentre Zuckerberg puntava alla luna. La giovane politica americana lo ha infatti incalzato sulla passata vicenda legata a Cambridge Analytica – lo scandalo dei dati degli utenti Facebook rubati e usati anche a fini elettorali – adducendo come motivazione il fatto che «per prendere decisioni su Libra, dobbiamo scavare nel comportamento passato di Facebook riguardo al rispetto della democrazia».

Il sottoscritto è, nel suo piccolo, contrario al progetto Libra per svariate considerazioni di tipo legale e tecnico, ma ridurre la conversazione su un progetto di tale portata ad una disquisizione su uno scandalo passato significa non avere capito esattamente la rivoluzione che il progetto implichi. La Ocasio-Cortez non ha fatto altro che punzecchiare il miliardario americano dove fa più male traendo vantaggio dalla sua indiscutibile superiorità oratoria rispetto a Zuckerberg, che è risultato impacciato e timido nella difesa. Lei sapeva perfettamente che concetti così complessi richiedono tempi di elucubrazione ed elaborazione che lei ha fatto di tutto per non concedere, risultando arrogante e fastidiosa. Zuckerberg in una prima analisi è sembrato incapace di rispondere a tono, ma in realtà, riguardando il video, viene da pensare che quanto lo metteva in imbarazzo era l’ignoranza della Ocasio-Cortez su come un business di tale entità venga gestito e la sfacciata volontà di continuare a non capirlo.

Aggiungo, come nota a lato, che le domande della Ocasio-Cortez erano perfettamente legittime e le sue critiche sensate, ma così triviali che, francamente, è dispiaciuto vedere Zuckerberg buttare via il suo tempo per spiegare una realtà che già tutti conoscevamo. Inoltre, la sfacciata arroganza da moderna inquisitrice della Ocasio-Cortez stonava di fronte ai meriti di un ragazzo che, piaccia o meno, ha rivoluzionato il modo in cui tutti noi ci relazioniamo. È lecito pensare che un personaggio di tale caratura meriti gli sia dato tempo di rispondere quando gli viene fatta una domanda? È lecito pensare che un oratore con più esperienza politica ed arroganza avrebbe facilmente neutralizzato le domande della Ocasio-Cortez e mostrato l’incompetenza di quest’ultima in materia? È lecito pensare che quando l’arte oratoria prevale sui concetti ultimi allora siamo di fronte ad una forma di mistificazione della realtà?

Ambiente, Politica, Società

All-you-can-eat e Greta Thunberg: due facce dello stesso pianeta

“Siamo all’inizio di un’estinzione di massa e tutto ciò di cui parlate sono i soldi e le favole su un’eterna crescita economica?” Sebbene, confesso, di non avere particolarmente apprezzato il discorso di Greta Thunberg alle Nazioni Unite, devo ammettere di essere rimasto particolarmente colpito dalla frase sopra. Una “crescita economica perenne”. Una crescita economica di cui tutti noi (e quelli prima di noi) abbiamo beneficiato fin dagli albori della razza umana e di cui ora sembriamo trovarci a dovere pagare il prezzo. Il paradosso risiede però nel fatto che la nostra sensibilità verso l’ambiente è ovviamente conseguenza (o merito) del nostro stile di vita elevato, che si è per l’appunto raggiunto tramite una travolgente crescita economica. Senza questo benessere non avremmo avuto modo o interesse di occuparci di quei problemi ambientali che, piaccia o meno, ricadono nella categoria che gli anglofoni chiamano first-world problems: ”problemi da primo mondo”, ossia problemi dei ricchi con tante energie e tempo libero da sprecare. Dimostrazione lampante di questo è proprio la differenza di approccio alla questione, ad esempio, tra primo mondo e paesi in via di sviluppo.

Tuttavia, sebbene trovi la “linea Thunberg” a tratti raffazzonata ed imprecisa (non gliene si voglia, è giovanissima), è indubbiamente un ottimo spunto per una piccola riflessione. Questa affrettata citazione di una fantomatica “promessa crescita economica” distrae in realtà l’attenzione dal vero problema: la coltivazione del mito dell’abbondanza. Sebbene i due elementi siano correlati, in quanto la crescita economica è necessaria per sostenere l’abbondanza e/o la redistribuzione della ricchezza, si tratta di due facce leggermente diverse della stessa medaglia.

Camminavo per una strada di Londra ed avendo notato il susseguirsi di ristoranti all-you-can-eat ed ho improvvisamente provato un senso di disgusto. È interessante innanzitutto analizzare l’espressione da un punto di vista linguistico: all you CAN eat – tutto quello che RIESCI a mangiare. Il nome di per sé è un indizio piuttosto rilevante sull’improprietà del concetto. A che punto della nostra storia siamo passati da “all-you-feel-like-eating” (tutto quello che ti va di mangiare) a “tutto quello che riesci a mangiare”? Per quale motivo siamo giunti alla necessità di riempirci ben oltre la sazietà al netto della qualità del prodotto che stiamo consumando e di come questo sia giunto sulla nostra tavola? Poco importa se per soddisfare questo nostro bisogno di abbondanza si sia dovuto crescere, consumando risorse, e macellare una quantità di bestiame superiore alla reale necessità. (Perdonatemi, da vegetariano non potevo non toccare questo punto, ma lo stesso discorso vale per verdure, cereali e quant’altro).

Il genere umano e la nostra società per la propria sopravvivenza hanno un bisogno essenziale di crescita economica o sarà proprio l’amore per il pianeta a venire a mancare; i paesi in via di sviluppo infatti si interesseranno ai nostri problemi da primo mondo (vedi ambiente) solo quando avranno raggiunto il nostro livello di benessere. Tuttavia è fondamentale che la cultura occidentale, da trendsetter, vilifichi e denigri la cultura dell’abbondanza combattendo ogni abominio sul modello all-you-can-eat.

Per riassumere quindi non è la crescita economica ad essere il male assoluto, bensì il mito dell’abbondanza che la supporta. Mito che funge al tempo stesso da motore e carburante del sistema capitalista che per la sua sopravvivenza non ha modo di fermarsi autonomamente nonostante l’autodistruzione che è sua naturale conseguenza.

Insomma, il dilemma è ormai chiaro e improrogabile: “amicus Adam Smith, aut magis amicus planeta?”

brexit, fascismo, Politica, regno unito, Società

Brexit e la nostalgia del Ventennio

Vivendo all’estero da anni mi capita spesso di tornare e ritrovare il nostro Paese come l’avevo lasciato o, almeno, come lo ricordavo. Si tratta di un’immobilità che se da un lato rincuora, dall’altro affligge, perché implicitamente annienta ogni possibilità di ritorno per chi, come me, si è abituato a vivere in ambienti in cui il cambiamento è l’unica costante nella corsa verso il miglioramento.

Guardando un po’ di televisione ho avuto modo di fare caso a un elemento che si ripresenta in ogni mio temporaneo soggiorno in Italia: il fascismo. Subconsciamente sapevo che accendendo la tv, poco dopo mezzogiorno avrei trovato qualche intellettuale (o non) intento a raccontare la storia di Benito Mussolini o a commentare qualche granuloso video dell’Istituto Luce.

L’immagine del Duce sembra essere diventata garanzia di successo per i palinsesti televisivi, ma soprattutto un’incarnazione dei pensieri e dei sogni proibiti degli italiani. Lo spettatore si trova catapultato nell’involontaria glorificazione di quello che fu l’ultimo impero nato sul suolo italico: un’immagine che non è facile rigettare se manca una visione d’insieme che esponga l’anacronismo del messaggio politico del tempo. Un modo, forse, di fantasticare su un passato in cui “i treni arrivavano in orario” al fine di non prendersi responsabilità per un presente non radioso.

“Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani” diceva Mussolini e, paradossalmente, la storia sembra avergli dato ragione. Il subconscio collettivo da sempre riporta la memoria alla gloria degli imperi del passato, contrapponendola a una modernità che – esaurito ilboom economico – ha lasciato deluse molte zone e fasce sociali del Paese.

Si potrebbe forzare un parallelismo tra questo fenomeno di regressione cronologico-culturale con il meccanismo di autodifesa psicologico che ha portato alla per ora fallimentare Brexit. Il conduttore radiofonico britannico James O’Brien in una delle sue trasmissioni spiegava di avere capito – ma non condiviso – le ragioni dei Brexiteer dopo una visita a Southend-on-Sea, una città di mare britannica. Argomentava di avere notato meravigliosi edifici vittoriani che, corrosi dalla brezza marina, nessun governo si prende la briga di mantenere nelle condizioni in cui meritano. Un’immagine molto forte che diviene metafora del decadimento di un glorioso impero, ad opera di quel mare che in passato aveva portato ricchezze e conquiste. Ora quello stesso mare, nella retorica propagandistica dei Leave, è divenuto il luogo da cui arrivano immigrati e speculatori che minano la qualità della vita che fu della vecchia Gran Bretagna. È noto, infatti, che siano state le località più remote e impoverite del regno a votare per l’uscita dall’Ue e non Londra che, anche grazie a quei quadri normativi Ue che hanno facilitato gli scambi, è divenuta de facto il centro finanziario d’Europa.

È difficile non riscontrare una somiglianza con quanto sta accadendo in Italia, Paese in cui esiste una capitale politica in piena crisi morale, dove spopolano i movimenti di ispirazione fascista e una capitale economica che fa di tutto per mostrarsi al mondo come europea, liberale e liberista. Il decadimento morale e sociale della città di Roma stride con la grandezza degli imperi che in essa trovarono la loro capitale: non sorprende quindi che certi movimenti trovino terreno fertile in una metropoli che ogni giorno si trova a doversi confrontare con il suo passato. Situazione opposta e antitetica invece a quella di Milano, dove si è fatto patrimonio di quell’apertura verso il mondo che ha portato la città a rifarsi il trucco per attirare sempre più capitali, turisti e studenti che saranno i leader del futuro.

In questa Italia che sembra avere perso la rotta e non riesce più a capirsi vale forse ricordare le parole di Winston Churchill: “Di questo sono sicuro. Se apriamo una lite tra il presente e il passato, rischiamo di perdere il futuro”.

Comunicazione, Italia, Politica, Società

M5s, la dittatura della democrazia e il principio di incompetenza

È innegabile che negli ultimi anni molti della mia generazione (e non) abbiano subito il fascino rivoluzionario del Movimento 5 stelle e, almeno a tratti, pensato di votarli. In fondo il loro programma è in larghissima parte la risposta ponderata e civilizzata a quanto noi nati durante la rivoluzione tecnologica vediamo di sbagliato nello status quo. Il libero accesso all’informazione non mediata da TV sotto controllo statale e/o imprenditoriale ci ha aperto gli occhi su decenni di mala politica e, di conseguenza, ha provocato un rigetto di tutto quanto è figlio di quel passato ideologico così anacronistico.

Tuttavia, quando mi chiedo se sarei mai in grado di sostenerli, mi rendo conto che sono antitetico a loro per uno dei concetti fondamentali: la concezione del ruolo del politico nella società. Il motto “uno vale uno” sembra essere una pericolosissima meraviglia propagandistica che mette il Movimento nella scomoda posizione di dovere accettare che la classe politica sia espressione della pancia del paese e non della sua elite. Sarà snobbismo culturale il politico non dovrebbe essere primus inter pares ma, a vari livelli, deve rappresentare l’eccellenza tanto per formazione quanto per meriti. Non sbaglia Vittorio Sgarbi quando citando Benedetto Croce dice che “il politico onesto è il politico capace” anche se nella sua interpretazione pare troppo spesso che le due cose debbano per loro natura essere in contrasto.

Il rischio è quello di cadere ancora più rapidamente nella trappola del principio di incompetenza elaborato dallo psicologo canadese Laurence Peter, secondo cui “in una gerarchia ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza”. In altre parole, un individuo che sia un eccellente impiegato delle poste grazie al duro lavoro potrebbe essere promosso, diventare un buon capoufficio e, con ancor più duro lavoro un mediocre dirigente provinciale. Purtroppo però, lì si fermerebbe la sua carriera per sovvenuta mancanza di qualità per avanzare ulteriormente con la coscienza di poter essere migliore come capo ufficio che come dirigente provinciale. Triste, ma così gira il mondo. Se applichiamo lo stesso principio alla politica vediamo che la gerarchia politica all’interno di un partito e il periodo di “gavetta” istituzionale fanno (o dovrebbero fare) da filtro per tutelare la qualità dei rappresentanti dello stato. Nel momento in cui un qualsiasi cittadino iscritto al Movimento può partecipare a elezioni online e, se vincente, candidarsi per un ruolo istituzionale allora c’è il rischio di un drastico abbassamento della qualità della classe dirigente 5 stelle. Questo processo di selezione infatti non prevede filtro tra chi vuole fare fare e chi sa fare, dando la possibilità di salire al potere a individui che potrebbero già avere raggiunto il loro “livello di incompetenza”.

La figura paternalistico-dittatoriale di Grillo è l’unica garanzia di qualità che il Movimento può effettivamente mettere in campo per evitare che la natura influenzabile degli iscritti, e del popolo in generale, sfoci nella selezione a plebiscito di candidati inadeguati che, seppur amati ed onestissimi, non hanno le competenze necessarie per progredire dalla loro posizione ad un ruolo politico. Il problema vero sta nel fatto che il comico genovese è l’unico ad avere abbastanza peso politico e carattere per poter scremare l’aspirante classe politica pentastellata, ma, visto che gli anni passano per tutti, è un ruolo che in futuro dovrà a sua volta essere adottato da una sorta di moderno Politburo. Come fu per Forza Italia, la dittatura interna sembra essere l’unico mezzo per mantenere una compostezza strutturale e garantire onestà e qualità nell’espressione dell’attività politica. Sebbene questo dispotismo faccia a pugni con i moderni valori democratici, si è dimostrato efficace per divenire la prima forza politica italiana. Insomma pare che in risposta alle dita puntate i 5 stelle intendano dire parafrasando il Subcomandante Marcos “ci scusiamo per gli inconvenienti, ma questa è una rivoluzione”.

Politica

Theresa May e il Grande Bluff

Non credetemi. Sicuramente sbaglio. Oltremanica, si sa, i magheggi di palazzo non sono all’ordine del giorno ma sono anzi spesso visti con disprezzo tanto dall’opinione pubblica quanto dalla corona. La grande tradizione democratica del paese implicitamente impedisce di avere qualsiasi sospetto, ma sono sicuro di non essere l’unico ad avere pensato al seguente scenario: e se il recente discorso di Theresa May fosse una grande farsa per far fallire la Brexit e permettere al partito conservatore di assicurarsi la supremazia più totale alle prossime elezioni?

Già più di tre mesi fa, stando alle informazioni trapelate e pubblicate dal Guardian, la prima ministra aveva espresso a ufficiali della Goldman Sachs le sue preoccupazioni riguardo l’uscita del Regno Unito dal mercato unico. Sebbene intenzionata a mettere un freno all’immigrazione, sembrava essersi avviata verso una soft-Brexit al fine di cercare di mantenere in qualche modo quella stabilità economica che l’Unione Europea assicura. Voleva tentare di rimanere nel mercato unico e allo stesso tempo assicurarsi un controllo nazionale sui flussi migratori intercomunitari. Idea a cui i leader europei hanno subito risposto picche in quanto l’accesso al mercato unico è possibile solo ove si accettino tutti i quattro pilastri fondamentali dell’UE, tra cui la libera circolazione delle persone.

Tuttavia, questo rifiuto da parte dell’Europa non implicava la necessità di proporre direttamente un’uscita dura e netta dall’Unione, che è destabilizzante tanto per l’Europa quanto per il Regno Unito. Una scelta bizzarra se si considera la storica capacità di negoziazione britannica in materia di relazioni internazionali ed il loro peso politico ed economico. Essi avrebbero potuto farsi valere in altri modi e adottare un approccio più morbido sulla questione ma hanno deciso di non farlo. Perché? Pare inverosimile l’ipotesi del fallo di reazione nei confronti dei leader europei che hanno snobbato le proposte della signora May. C’è sicuramente del metodo nella follia.

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Immaginiamo per un momento che il governo abbia preso atto del fatto che l’elettorato britannico, dopo aver votato su una questione così importante, si sia reso conto di aver fondato la propria opinione su un’ infinità di bugie portate avanti dal fronte Leave. Immaginiamo che ci sia stato un grosso cambio di opinione di massa ed ora, come riporta l’Independent, i sostenitori del fronte Stay siano la maggioranza. Immaginiamo che la Scozia voglia indire un nuovo referendum per la sua indipendenza al fine di abbandonare il Regno Unito e rimanere in UE. Immaginiamo anche che i politici che hanno supportato la Brexit solo per assicurarsi visibilità e un posto in parlamento nelle prossime elezioni si siano resi conto dell’errore. Come uscirne ora? Semplice, hard-Brexit.

Ogni modesto giocatore di poker sa perfettamente che l’unico modo per uscire da un bluff è rilanciare sempre più in alto. Dopo aver chiarito che l’articolo 50 può essere innescato solo tramite approvazione del parlamento e non per prerogativa reale, la prima ministra ha deciso di volersi avviare verso una hard-Brexit, sgradita tanto al parlamento quanto alla maggioranza del pubblico. La May ha anche aumentato la posta in palio tramite la velata minaccia di potere trasformare il Regno Unito in una sorta di paradiso low-tax per potere competere con l’UE in una potenziale guerra commerciale. Questo ha ovviamente provocato la reazione furiosa del fragile partito laburista che guarda con sospetto ogni mossa dei conservatori mirata a spostare il paese verso la deregolamentazione del mercato del lavoro e dell’economia. Il malcontento è però percepibile anche tra i conservatori stessi e i numeri ci sono perché un’inusuale alleanza tra questi e i laburisti di Corbyn NON approvi in parlamento l’uscita dall’UE. Qualora questo accadesse la May e i supporter del fronte Leave potrebbero gridare al complotto, accusare l’establishment (tanto per cambiare) e assicurarsi percentuali bulgare alle prossime elezioni, grazie anche al supporto del pubblico laburista anti-UE che si sentirebbe tradito dal proprio partito. Insomma ne uscirebbero vincitori.

Probabilmente troppo machiavellico per il paese di Sua Maestà, ma negli ultimi anni la politica ci ha reso avvezzi agli scenari più inverosimili. Non succede, ma se succede…

Senza categoria, Società

Le donne stanno perdendo il loro potere sugli uomini? Matrimonio, Contraccettivi ed Economia del Sesso

Dal 2000 in avanti negli Stati Uniti il numero di matrimoni ha avuto un lento declino fino a toccare nel 2013 il livello più basso mai registrato. In compenso però il settore degli incontri online sta avendo una crescita vertiginosa fino ad arrivare a toccare il valore record di 1,049 miliardi di dollari nel 2014. Pare, inoltre, che oltre a questa drammatica riduzione nel numero dei matrimoni, le coppie che decidono di convolare a nozze lo fanno sempre più tardi.

Per spiegare questo fenomento la professoressa Kathleen Vohs dell’Università del Minnesota ha sviluppato la teoria dell’Economia del Sesso, secondo cui i rapporti carnali in una relazione eterosessuale possono essere visti come veri e propri scambi “commerciali” tra due soggetti. Sebbene ad un primo sguardo possa sembrare che si tratti solamente di uno scambio equo, in quanto entrambi cedono una parte identica della propria intimità, ci sono aspetti che andrebbero analizzati più a fondo. Se partiamo dal presupposto che uomini e donne apprezzano il sesso in egual misura è fondamentale notare che questi vivono l’atto in maniera molto diversa. Secondo la ricerca della professoressa americana, in generale gli uomini hanno un sex drive maggiore, sono più permissivi nei rapporti e sono meno inclini a collegare il sesso alle relazioni; le donne invece associano il sesso a motivi che vanno oltre il puro piacere, quali la volontà di esprimere e ricevere amore, sentirsi attraenti e come mezzo per rafforzare un rapporto fino a che questo non sfoci nel matrimonio. A questo punto viene da chiedersi, viste le diverse prerogative, chi decide quando è il momento di avere un rapporto? La professoressa americana non ha dubbi: è la donna a decidere. Il sesso è infatti la sua “risorsa” per eccellenza e quindi questo avrà luogo solo quando lei lo riterrà opportuno. A questo punto la questione è semplice: come fanno le donne a decidere quando è il momento di intrattenere un rapporto sessuale? Ce lo spiega l’economia.

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Le donne possiedono un bene che è altamente desiderabile per gli uomini e per cui sono disposti a fare grossi sacrifici. Il valore per l’uomo di questo bene può spaziare, per esempio, da qualche drink in discoteca, ad una cena elegante e delle attenzioni, fino alla promessa suggellata dal matrimonio di condividere il resto della vita con l’interessata. Tuttavia, essendo le donne sole proprietarie di questo bene, potrebbero capitalizzare su di esso ed alzare le richieste fino ad ottnere tutto quello che vogliono. Ma non lo fanno. Perché? Purtroppo per loro il valore di “mercato del sesso” non dipende solo dalla loro volontà ma è parte di un grande sistema di scambi in cui uomini e donne imparano l’uno dall’altro, e da altri membri della società, cosa potersi aspettare da un punto di vista erotico. Insomma, il sesso non è solo una faccenda privata tra due individui consenzienti.

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La teoria della domanda e dell’offerta insegna che, in generale, quando l’offerta è alta i prezzi scendono, in quanto nessuno è disposto a pagare per qualcosa che è facilmente reperibile. Se invece un bene, quale il sesso, è raro, si è disposti a pagare di più per poterlo ottenere. Ovviamente non si vuole associare all’atto stesso un valore monetario, ma un peso in termini di relazioni e convenzioni sociali. Gli uomini sanno che di questi tempi i rapporti carnali sono molto più “economici” di quanto lo era in passato e pare che questo potrebbe essere dovuto anche a quello che gli scienziati chiamano “shock tecnologico“. L’invenzione dei contraccettivi ormonali (la famosa “pillola“) ha permesso a uomini e donne di avere rapporti sessuali senza correre il rischio di incorrere in gravidanze indesiderate. Questo shock tecnologico ha rivoluzionato il sistema di pesi e contrappesi nei rapporti tra i due sessi abbassando drasticamente il valore del rapporto carnale. Prima dell’invenzione della pillola il sesso era visto perlopiù come un elemento della ricerca del partner con cui convolare a nozze, in quanto, anche se non del tutto vincolante, avveniva solo qualora ci fossero serie intenzioni riguardo la relazione. Il sesso era, infatti, un gioco pericoloso visto che degli eventuali “errori” avrebbero portato a gravidanze extra-matrimoniali in generale non ben accette dalla società dell’epoca.

Insomma, pare che l’invenzione della pillola abbia mandato in confusione il “mercato dell’accoppiamento“, poiché ora il sesso e il matrimonio sembrano essere divenute entità ben diverse. Secondo la ricerca, la società si divide fondamentalmente in due gruppi: coloro che sono in cerca di sesso, la cui maggioranza sono uomini, e coloro che sono in cerca di matrimoni, la cui maggioranza sono donne. Di conseguenza, il fatto che ci siano più uomini che donne in cerca di rapporti sessuali permette a signore e signorine di essere molto più selettive per quanto riguardo i loro partner sessuali (almeno sul breve termine). Questa proporzione è ovviamente invertita quando si tratta si trovare un uomo con cui farsi una famiglia, in quanto il numero di uomini sul “mercato del matrimonio” è molto inferiore a quello delle donne. Gli uomini, quando si tratta di matrimonio, sono in grado di massimizzare i loro interessi anche investendo meno risorse, cercando di avere un numero più elevato di partner sessuali prima di scegliere un’unica donna a cui dedicarsi.

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In passato non era la società strettamente patriarcale a far aumentare il valore del sesso, ma le donne stesse. Esse sapevano infatti di poter contare su un senso di solidarietà tra loro che teneva alto il prezzo del bene. In questo nuovo mondo in cui il sesso non implica più una gravidanza e il matrimonio è opzionale ha fatto abbassare il valore dell’atto e le donne si trovano ad essere in competizione tra loro. Questo implica spingere sulle proprie qualità per fare leva sui bisogni e desideri dell’uomo ed è qui che, secondo la studiosa, le donne sbagliano. Mentre esse la fanno da padrone dal punto di vista dei rapporti carnali, gli uomini hanno grande voce in capitolo quando si tratta di avviarsi verso il matrimonio. La fertilità maschile è infatti più longeva di quella femminile, di conseguenza gli uomini si sentono in diritto di poter aspettare più a lungo. Non è un caso infatti che negli Stati Uniti l’età media delle coppie che convolano a nozze è sempre più alta, mentre quello delle coppie tra i 25-30 anni è sempre più basso.

Per gli uomini è infatti generalmente più facile trovare una partner più giovane per un rapporto occasionale e questo, tristemente, permette loro di poter avere comportamenti tanto inadeguati alla vita di coppia quanto l’età della partner permette. Gli economisti coinvolti nello studio ritengono l’unica strategia che le donne possono adottare di fronte a questo sbilanciamento è di rendere il bene, il rapporto sessuale, meno reperibile. Quest’eventualità sembra lontana da quanto sta accadendo ai giorni nostri, ma se fosse realizzato vedremmo un drastico innalzamento del numero di matrimoni, delle relazioni durature, convivenze e la possibilità per le donne di esprimere più chiaramente quello che si aspettano da una relazione.

Insomma pare che quello che in inglese si chiama bargaining power (potere di negoziazione) delle donne sia arrivato ai minimi storici e questo potrebbe spiegare le sempre più ingenti spese in abbigliamento e cosmetici per sembrare più attraenti, la maggiore intraprendenza e la sovrabbondanza di nudo ed espressioni dal forte contenuto sessuale, tanto nella pubblicità quanto nella vita reale.